Killers of the Flower Moon - Recensione
Fresco di uscita nelle sale e largamente apprezzato da pubblico e critica, Killers of the Flower Moon è l’ultima, monumentale fatica del noto regista di New York Martin Scorsese. La sua durata considerevole di 3 ore e 26 minuti potrebbe impedire alle persone di approcciarsi a questo film, che tuttavia, a mio modesto parere, vede nella sua durata il minimo ostacolo da superare.
Si tratta infatti di un’opera complessa, ma che lancia un messaggio sociale e politico che lascia ben poco all’interpretazione: la storia è un adattamento romanzato del saggio di David Grann Gli assassini della terra rossa, pubblicato nel 2017, e racconta di come le tribù Osage, facoltose associazioni di nativi americani, a causa della loro opulenza, dovuta alla scoperta del petrolio, iniziarono a morire in modo tragico e improvviso. Un gruppo di investigatori dell’FBI sarà in seguito inviato sul posto per ottenere informazioni e risposte su tali avvenimenti, ma dovrà prima confrontarsi con la sete di potere e controllo dei proprietari terrieri bianchi, che sostengono una dura battaglia ideologica e sociale contro gli Osage, nascondendola sotto rapporti di amicizia discutibili.
Per analizzarlo con più facilità, si potrebbe dividere il film in tre sezioni distinte: la descrizione dei rapporti sociali e culturali tra le tribù Osage e la popolazione bianca, l’escalation di omicidi e l’intervento dell’FBI, la risoluzione (quasi) definitiva della questione. E bisogna specificare “quasi”, perché trattandosi di una storia ambientata negli anni ‘20 del Novecento, a dominare una buona parte della società statunitense era una mentalità fortemente razzista e classista; questo potrebbe avere comportato una parziale “cancellazione” dello sterminio degli Osage dalla memoria collettiva statunitense, e in buona fede ammetto che prima di informarmi su questo film non sapevo niente di questa repressione sistematica e ingiustificata. Si potrebbe d’altro canto affermare che un regista di etnia caucasica come Scorsese avrebbe gioco facile a raccontare una storia che non riguarda il suo popolo, però è interessante notare come il film non si presenti come un classico melodramma intriso di romanticismo, intrighi e morti strazianti. Scorsese decide di eliminare quasi del tutto la figura del white saviour, ossia quel personaggio privilegiato che interviene in soccorso di una popolazione non-bianca e perseguitata. Ci vengono presentati dei personaggi decisamente complessi, che non si prestano a interpretazioni superficiali, ma dimostrano questa loro complessità di carattere e di ragionamento grazie all’approccio realistico di Scorsese. Altro aspetto importante è l’attenzione riservata alla cultura e alla società degli Osage, frutto di una documentazione storica piuttosto evidente e percepibile attraverso tutto il corso della pellicola. Senza alcun tipo di abbellimenti o edulcorazioni, la sceneggiatura si prende il suo tempo per illustrare e interpretare ogni concetto, la storyline di ogni personaggio, e nonostante alcuni problemi di ritmo ed esposizione riesce a intrattenere per tutta la durata della narrazione. Abbiamo anche un magistrale contributo alla regia di Scorsese, che si destreggia tra piani sequenza, panoramiche, camera fissa e macchina a mano, dimostrando tutto il suo inossidabile talento, anche grazie al montaggio eclettico della sua collaboratrice di sempre, Thelma Schoonmaker. A spiccare sono poi le performance attoriali dei protagonisti, in particolare un maniacale e opportunista Leo DiCaprio, un sinistro Robert De Niro e una spettacolare e intensa Lily Gladstone (che ha la vittoria agli Oscar in pugno); da segnalare anche le presenze di Brendan Fraser, che ritorna dopo anni di allontanamento da Hollywood, e di Jesse Plemons, che continua la sua brillante carriera post-Breaking Bad.
Che possa suscitare la concentrazione dello spettatore o meno, Killers of the Flower Moon è un film che mette costantemente alla prova, sia dal punto di vista della coscienza che per quanto riguarda la “sopportazione”: persone come noi ci invitano a riflettere su una storia dimenticata, seppellita nel tempo, grazie a un contributo artistico ricco di partecipazione e sensibilità. Vi consiglio quindi caldamente di recuperarlo affrontando la sua mole colossale, senza mai lasciarvi tentare dalla possibilità di “distogliere lo sguardo”: è una vicenda che deve essere ricordata, diffusa, discussa, e il cinema, strumento di spettacolo ma anche di divulgazione, potrebbe essere il metodo migliore per comprenderne tutte le sfaccettature.
Ζεῖ
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