Rita Atria, la ragazza che si ribellò alla Mafia

Nata a Partanna il 4 settembre 1974, Rita Atria era figlia del boss Don Vito Atria. A 11 anni perde il padre, ucciso da dei sicari in un agguato. Alla morte del padre, Rita si lega ancora di più al fratello maggiore Nicola, che nel frattempo, desideroso di vendetta nei confronti dell'assassino di suo padre, entra nel giro della malavita diventando uno spacciatore. A distanza di sei anni dalla morte di Don Vito, nel 1991, anche Nicola viene ucciso; Rita, a 17 anni, ha quindi perso il padre e il fratello. Cresciuta in un simile contesto famigliare, Rita non conosce lo Stato né la giustizia; decide però di seguire l'esempio della cognata Piera Aiello, presente all'assassinio del marito Nicola, che denuncia i suoi killer e collabora con la polizia diventando testimone di giustizia. Così una mattina, di nascosto, Rita si reca a Marsala dove viene ricevuta dal magistrato Paolo Borsellino, a cui svela tutto ciò che sa sulla cosca a cui appartenevano il padre e il fratello. Le sue rivelazioni portano all'arresto di decine di mafiosi ma provocano la furia della madre, che la rinnega considerandola un’infame. Rita viene quindi inserita in un programma di protezione e trasferita a Roma insieme alla cognata Piera Aiello. Abbandonata dai familiari e dal fidanzato, Rita trova in Borsellino un secondo padre: il magistrato diventa per lei un punto di riferimento e una fonte di speranza in un mondo migliore, più onesto. Ma la sua fiducia nella giustizia si spezza drasticamente il 19 luglio 1992, quando Rita apprende che Borsellino è stato ucciso in un attentato in via D'Amelio a Palermo. "Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno perché uccisero colui che, con il suo esempio di coraggio, rappresentava la speranza di un mondo pulito, onesto. Ora tutto è finito". Queste le parole che Rita annota sul suo diario poco prima di togliersi la vita gettandosi dal sesto piano del palazzo dove abitava a Roma, il 26 luglio. Ci lascia queste ultime parole: "Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta". Il suo funerale non viene neppure celebrato; addirittura, alcuni mesi dopo la morte della figlia, la madre viene sorpresa mentre distrugge a martellate la foto sulla sua lapide nella tomba di famiglia. Per questo verrà condannata a due anni e un mese di carcere.


Quando decise di togliersi la vita, Rita era ancora una bambina, avrebbe compiuto 18 anni dopo due mesi. Eppure, il suo contributo alla giustizia è stato immenso.

Sono passati trent’anni dalla sua morte: oggi la mafia ha cambiato veste, non è più la mafia esibizionista degli anni di Rita; no, oggi la mafia è silente, invisibile, ma continua a esistere e a contaminare i nostri sistemi legali. Ed è un fenomeno che ci riguarda tutt* e molto da vicino; per questo è un imprescindibile dovere morale da parte di ognuno continuare a combattere, giorno dopo giorno, in nome di quella Giustizia per cui hanno perso la vita Rita, i magistrati Falcone e Borsellino e le altre oltre 1000 vittime di mafia che commemoriamo ogni anno nella giornata del 21 marzo.


   di Arianna Gandini



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