Il modo in cui Giasone soffrirà di più
Invitati dalle docenti Paola Lucarno e Paola Massucco, con la partecipazione della docente Elena Gallo e l’ausilio tecnico di Federico Creuso, gli alunni del liceo classico della IVAQ e della VBC si trovano ad assistere alla conferenza del professor Carlo Bevegni, ordinario di filologia classica presso l’università di Genova -presentato dal suo ex alunno Lorenzo Vespoli, a sua volta divenuto insegnante, che ai suoi tempi frequentò la stessa scuola che ora lo vede ospite.
«Di fronte al capolavoro della Medea di Euripide- dice Bevegni- potremmo interrogarci su diverse questioni: è l’autore stesso a inventare il tema del figlicidio, o lo mutua da altri? L’uccisione dei figli fu volontaria o accidentale? O furono forse gli abitanti di Corinto gli assassini? Domande interessati, certo, ma marginali». Il filologo prosegue deciso sull’area del testo da vivisezionare: restringe il campo da analizzare e attua una precisa selezione dei versi da leggere, accuratamente forniti in greco: insiste sull’importanza dell’interrogazione diretta di chi li studia nei confronti dei testi originali, che se esplorati a fondo possono rispondere con completezza -e qui emerge la grandezza degli autori antichi- a tutte le domande che vengono poste loro.
La conferenza prosegue quindi con la lettura, la traduzione e l’interpretazione delle scene dei vari episodi della tragedia, sull’argomento che si è delineato: il processo psicologico interno a Medea che la porta, nell’arco temporale di un giorno, a prendere lucidamente la decisione di uccidere i propri figli. In particolare due domande vengono poste: perché proprio l’infanticidio? In che modo la donna arriva a commetterlo?
Già dalle prime battute il lettore/spettatore è messo sull’attenti: «Medea odia i suoi figli e non si rallegra nel vederli: temo che voglia macchinare qualche novità». Queste sono le parole della nutrice, pronunciate nel prologo: Medea, protagonista assoluta della vicenda, la cui storia è già risaputa, è lì apposta per far vedere al pubblico, quasi partecipe, in che modo attuerà la sua terribile vendetta su Giasone, l’eroe in negativo che la tradisce nella propria egocentricità. È proprio qui che si vede chiaramente quella che Bevegni spiega essere l’ironia tragica, ovvero lo scarto di conoscenza tra chi parla e chi ascolta, a favore dell’uditorio, che genera con estrema efficacia quell’immedesimazione catartica nei personaggi che tanto rende apprezzarla tragedia greca.
La maga, nel corso dell’opera, si trova a dialogare con personalità mature ed importanti, ma soprattutto con dei padri: questi espongono, uno ad uno, con parole sottili e di chiarezza chirurgica, quanto valga per loro la propria famiglia ed in particolar modo quanto tengano ai loro figli. Se Medea voleva infatti innanzitutto uccidere il marito, l’amante-nuova moglie e suo padre, si trova, grazie alle riflessioni innocenti prima di Creonte, poi di Giasone e poi ancora di Egeo, a rivalutare completamente il proprio piano.
Ciò che più fa accapponare la pelle in questa vicenda è la lucidità, la fredda razionalità con cui la donna, tradita nell’orgoglio e nei sentimenti, collega uno ad uno i puntini in modo da infliggere al marito il maggior male possibile. Se infatti questo desiderava come ideale di felicità la vita condivisa in una famiglia allargata con le due donne ma soprattutto con tutti i figli -che chiama “baluardo per la casa”-, Medea sceglie consapevolmente, noncurante del proprio dolore, di togliergli ciò che di più caro ha e desidera.
È dunque evidente la risposta al perché e al come che erano stati posti come interrogativi iniziali: si tratta di un processo fine e calcolatore, guidato da una bussola che punta verso il male e lo segue fino in fondo. Alla domanda del coro «Ma tu oserai davvero uccidere il sangue del tuo sangue?», «Sì -la semidea risponde- perché è questo il modo in cui egli soffrirà di più».
Commenti